mercoledì 30 dicembre 2015

Federer è il GOAT? Questione di stile

La copertina del libro Roger Federer. Perchè è il più grande

Federer è il più grande di ogni epoca?


La domanda su chi sia il più grande giocatore di ogni epoca appassiona gli sportivi di ogni disciplina dalla notte dei tempi. Abbiamo osservato come nel tennis, l'interrogativo sul fatto che sia Federer il GOAT ha ormai origini antiche.
Ora, estrapoliamo un passaggio dal libro Roger Federer, perchè è il più grande , edito da Area 51 Publishing, soffermandoci su uno dei parametri pertinenti per stabilire chi sia il miglior giocatore di sempre: lo stile. Non si tratta ovviamente dell'unica discriminante e nell'ebook si analizzano altre quattro direttrici (vittorie, distacco dagli altri nel momento d'apice, continuità lungo la carriera e atteggiamento). Ma aspirare a tale titolo è anche questione di stile.
Ecco il paragrafo del libro:

Tra gli sport popolari e con un seguito di pubblico ampio in cinque continenti, il tennis è uno dei più nobili d’animo. Non ci sono recinzioni, non ci sono grate a dividere i tifosi, si mantiene un “sostanziale” contegno durante gli scambi per sciogliersi in un applauso alla conclusione del punto. Molto raro che un giocatore venga beccato, fischiato o insultato. Nulla a che vedere con il calcio dove l’offesa al rivale equivale alla norma e la dietrologia sugli arbitri è la prassi. Anzi, sono proprio i gesti di stizza dei giocatori a infastidire gli spettatori che mal digeriscono racchette sfasciate, proteste reiterate, esclamazioni poco oxfordiane. Quando un appassionato si affeziona a un campione, la pulsione di vittoria che trasferisce sul proprio beniamino non impedisce di ammirare il rivale.
Ma già in un ambiente per definizione così posato dove aleggia un’atmosfera da gentleman, Federer è riuscito a trascendere il proprio sport conquistando i favori di molti. Moltissimi. Praticamente di tutti[1].
Come mai? Certamente, vincere aiuta ad acquisire fan e simpatie, ma questo non basta a spiegare il seguito che accompagna il campione elvetico da anni, ad ogni latitudine e al di là delle generazioni.
La vera peculiarità di Federer è nello stile, in quel modo di giocare così riconoscibile sin dal primo sguardo che lo fa sembrare un esemplare unico al cospetto di tutti gli altri, una specie rara e da proteggere. Federer non è il primo tennista nella storia ad aver segnato un deciso punto di svolta sul piano estetico. Senza voler andare troppo indietro, basta pensare a quanto abbia inciso Bjorn Borg nell’evoluzione del gioco. Lo svedese rese probabilistico il gioco: togliere ogni svolazzo per puntare sulla solidità da fondo campo cambiando radicalmente l’impostazione dei colpi. Giocava il rovescio a due mani mostrandone l’efficacia (come detto, della purezza estetica se ne è sempre infischiato) e, soprattutto introdusse la rotazione top spin nel dritto. Non soltanto influenzò gli altri giocatori e quelli delle generazioni successive che si convinsero ad emularne il modello tecnico, ma diede slancio all’innovazione dei materiali. Il passaggio dai telai di legno a materiali più moderni (alluminio, grafite, ecc) accompagnò l’evoluzione nell’esecuzione dei colpi promossa dallo svedese rendendo quel tipo di gioco la norma. E parallelamente trasformò i tennisti da fini spadaccini che colpivano in punta di fioretto a lottatori che sfruttavano la resistenza atletica e fisica per sfiancare l’avversario fino a indurlo all’errore.
Con lo svedese il tennis ha voltato pagina anche se, per molti, dal verso sbagliato. Il gioco è senz’altro divenuto più omologato, meno propenso a favorire virtuosismi e variazioni tattiche. Tuttavia, è innegabile che ci sia un’era pre-Borg e un’era post-Borg.
Negli scacchi, una lunga epoca è stata definita “romantica” ed era caratterizzata dalla ricerca di mosse spettacolari, di attacchi spericolati che potessero catturare l’ammirazione e la meraviglia degli appassionati. Successivamente, il gioco è divenuto sempre più scientifico e legato a un preciso calcolo delle varianti; analogamente Borg ha portato razionalità in uno sport considerato creativo, umorale, psicologico e sorprendente. Fino all’avvento di Federer, molti giganti della racchetta si sono lamentati dell’appiattimento degli scambi, della difficoltà di trovare partite che non presentassero lo stesso canovaccio fatto di intensità, corsa e “picchiatori” da fondo campo[2]. Roger ha mostrato come i principi classici potessero essere rispolverati dalla soffitta, unendoli con la potenza e la cura della preparazione fisica tipiche della modernità. Federer è il più elegante nella conduzione della racchetta, compatto in ogni frangente, fluido nei movimenti, cristallino nel trovare la coordinazione, riconoscibile persino dal suono emesso dalle corde della racchetta. Non è un caso che unanimemente fotografi e operatori televisivi concordino su come lo svizzero sappia esaltare come nessuno slow motion e istantanee: una grazia misteriosa per le velocità del gioco attuale. Non soltanto fa esteticamente meglio quello che fanno gli altri, ma fa più cose.  Un po’ come avviene con gli All Blacks, l’epica nazionale di rugby neozelandese, in grado di interpretare cinque o sei modi diversi di giocare a seconda delle condizioni e degli avversari, Federer è l’unico tennista in circolazione in grado di alternare aggressioni di dritto, rovesci in top e in back, serve and volley e di prendere la rete con una risposta tagliata. Può conquistare direttamente l’iniziativa o indurre l’avversario a spingersi a rete con un rovescio tagliato dal rimbalzo pressoché nullo che sorprende il rivale a metà campo, sa attaccare in controtempo e sfruttare il contropiede girando il polso un attimo prima dell’impatto con la palla. Un Mozart della racchetta capace di operare una rivoluzione pacifica. Rispettoso del gusto antico nell’attingere al variegato repertorio della tradizione eppure moderno, quasi d’avanguardia anche quando riecheggia arabeschi che profumano d’antico. Nel calcio si è detto spesso che Zidane fosse trent’anni avanti per il suo modo di stare in campo: fisico da stopper e piedi da numero dieci, carisma da leader e fantasia in ogni giocata. La stessa metafora che nel basket viene impiegata per descrivere lo strapotere di LeBron James, il fenomeno in grado di giocare – e fare la differenza – in ognuna delle cinque posizioni sul parquet. Su Federer tale regola aurea vale ancor di più: sembra di un’altra dimensione, ma non si capisce se sia l’ultimo regalo di un’epoca antica o il prototipo di qualcosa che si osserverà in un futuro lontano.
E’ davvero ingrato cercare un punto simbolo che descriva il repertorio dello svizzero. David Wallace si era soffermato su un irreale passante di rovescio giocato contro Agassi, altri strabuzzano gli occhi riguardando su Youtube i tweener, ovvero il colpo giocato sotto le gambe con cui Roger ribalta lo scambio chiudendo la rincorsa dopo un lob dell’avversario; gli esteti ribadiscono come il suo gioco a rete sia da insegnare ai più piccoli. Ma a noi piace ricordare, anche per l’importanza contingente, il punto che valse il break decisivo nel quinto set della finale di Wimbledon 2007 con Rafael Nadal. Lo spagnolo aveva preso l’iniziativa e stava martellando sul lato sinistro di Federer come da piano partita. Gioca un lungo linea incisivo che sembra segnare definitivamente l’inerzia dello scambio quando Roger si inventa un rovescio in back affilato come la lama di un rasoio. La palla passa pochi millimetri sopra al nastro e sembra morire sull’erba. Contro qualunque altro giocatore, sarebbe punto diretto ma le risorse di Nadal sono infinite e l’iberico riesce ad organizzare un dignitosissimo appoggio nonostante la faccia della racchetta sia pressoché adagiata sul prato. La palla è sull’angolo sinistro di Roger che compie due saltelli a rapida frequenza per giocare il dritto anomalo, ovvero quello dalla parte di campo tradizionalmente riservata al rovescio. Il dritto anomalo di Federer è di per sé ancora più “anomalo” perché non prevede la sventagliata ad incrociare ma è una fiondata lungo linea con la traiettoria della palla che si alza e si abbassa con ondulazioni difficili da spiegare sul piano balistico. E’ un colpo senza domani: se non si chiude il punto si concede troppo spazio all’avversario. E se l’avversario è Nadal, il margine si riduce ulteriormente. Rafa conosce Federer e sa dove indirizzerà il dritto.
Parte un attimo prima. Non basta.
In quel colpo c’è tutto Federer: potenza, tecnica, precisione e inventiva. Ma ovviamente è soltanto un’istantanea, una manciata di polvere di stelle presa da un sacco capiente come mai se ne erano visti prima. Ciò che è impressionante è che in questi ultimi anni non soltanto Roger riesca a replicare prodezze viste e riviste, ma che addirittura regali nuovi colpi. Prendiamo il torneo di Cincinnati 2015. In semifinale con Murray tira fuori un dritto in chop che sembra traslato da un’altra epoca, di una grazia rinascimentale e letale come la più consueta staffilata. In finale con Djokovic l’impensabile: Roger scatta in avanti e risponde alla battuta dell’attuale numero uno al mondo appena un passo dopo la riga del servizio. Con un colpo da ping pong prende il tempo all’avversario e conquista un punto pesante nel tie break e nell’economia dell’intero match. Eloquente la reazione delle vittime di questi colpi d’estro che sembrano chiedersi: “Ma questo da dove diavolo proviene?” ed è bene ricordare che stiamo parlando di avversari che rappresentano a pieno titolo i migliori giocatori in circolazione. La spiegazione è più semplice di quanto sembri: Federer ama il gioco e ancora oggi quando ha la consapevolezza di aver realizzato un colpo di qualità, ha la stessa gioia di un ragazzino che scopre il proprio talento o di un’illusionista a cui riesce il trucco. Non è così importante valutare quanto concretamente la SABR (Sneak Attack By Roger) possa aggiungere ai manuali del gioco ma è straordinaria la tenacia nel voler ancora sperimentare nuove soluzioni.
Anche se “l’originale” è ancora in attività, è già partita la caccia al nuovo Federer più per riluttanza  all’evidenza di non vedere più certi ghirigori con la racchetta che per convinzione di poter trovare un epigono all’altezza.


Jose Raul Capablanca a 4 anni impegnato in una partita con il padre
E’ il destino dei fenomeni: lasciare un vuoto che gli appassionati cercano di colmare provando a ritrovare nei prìncipi qualcosa dei re. Nel calcio, da circa vent’anni in Argentina ogni ragazzino che sappia dare due calci a un pallone viene ribattezzato come “nuovo Maradona”; in Brasile avviene lo stesso da mezzo secolo alla ricerca del successore di Pelé. Nei college americani si cerca l’erede di Jordan, in Belgio i fanatici delle due ruote attendono la reincarnazione di Eddie Merckx, a Cuba da oltre ottant’anni stanno aspettando un genio della scacchiera come Jose Raul Capablanca[3]. Tuttavia, il tennis di Federer non è facilmente replicabile e interpretato da altri rischia persino di non essere redditizio. Prevede margini di errori minimi e una varietà del repertorio infinita. E se immaginiamo la costruzione di un tennista simile a quella di un edificio, mantenendo un approccio cinico e opportunista, viene da chiedersi se convenga concentrarsi su colpi raffinati ma che nell’arco di una partita possono essere eseguiti poche volte (talvolta mai) piuttosto che sul consolidamento dei fondamentali e il rafforzamento della battuta che garantisce punti sicuri e senza fatica. Non è un caso che molti tennisti della nuova generazione siano caratterizzati dall’altezza e da un servizio devastante per compensare l’assenza di una morbidezza nel tocco tale da permettere volée o drop. Per molti, Federer in tal senso rimane un ideale, un asintoto impossibile da toccare; più che impegnarsi concretamente per raggiungerlo, se ne parla con incanto: “Mi piacerebbe possedere il suo repertorio per avere l’imbarazzo della scelta su cosa fare in campo”. Non è un caso che chi più concretamente ha provato a ricalcarne il gioco, il bulgaro Grigor Dimitrov, abbia ammesso che le pressioni della stampa che lo ha etichettato come erede dell’elvetico si siano rivelate più un fardello d’ostacolo alla crescita che una spinta verso la maturazione tecnica. Ma è l’aspettativa iniziale a essere fuorviante: una copia di Roger Federer non può che essere … una brutta copia.



[1] Uno dei più pervicaci e colti critici di Federer è Andrea Scanzi, che lo ha bollato come algido e freddo rimproverandogli di aver abbandonato gli eccessi giovanili. I suoi seguaci sono etichettati come “federasti” e assuefatti a parlare bene di Roger al punto da non ammettere il confronto. Eppure, è lo stesso Scanzi dopo la finale di Wimbledon del 2014 persa con Djokovic a riproporre elogi per un Federer, tornato – a suo modo di vedere – libero dalla stessa aura regale che lo ha accompagnato per un decennio.
[2] Come Jim Courier, per una breve parentesi numero uno del ranking e definito da Rino Tommasi “un giocatore di baseball prestato al ring” per l’impugnatura della racchetta e la tecnica nel colpire la palla non esattamente da manuale.
[3] L’ex campione del mondo Emanuel Lasker disse: “Ho conosciuto tanti campioni di scacchi ma un solo genio e risponde al nome di José Raul Capablanca”

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